L’anciuè racconta della tradizione degli acciugai e della Valle Maira al giornalista Saverio Paffumi.
“Comunque andò, ciò che rimase fu una nostalgia del mare. Furono loro a portare le acciughe tra le montagne e in pianura? Furono loro a tornare indietro, ogni anno, per riprenderle?”
Giriamo le domande a Diego Crestani, valmairese di adozione, innamorato cultore della storia e delle tradizioni della gente della valle, autore di libri in cui ha pubblicato le sue accurate ricerche.
«Non ci sono prove certe che i primi commercianti di acciughe fossero gli abitanti di Moschiéres. Non è possibile capire dove sia nata esattamente questa attività. Nel documento più antico relativo all’attività degli acciugai (1835) si cita il paese, questo però non significa che il mestiere sia nato lì. È un documento che registra l’emigrazione degli uomini per il commercio delle acciughe. Il che però fa pensare a un’attività già fiorente: acquistare pesce salato lungo la costa, conoscerlo, distribuirlo all’interno. Una delle ipotesi è che prima i valmairesi vendessero tele di canapa prodotte in loco, poi qualcuno potrebbe aver scambiato tele per acciughe… E c’erano anche altri mestieri, come i bottai (tra l’altro un tempo le acciughe salate erano conservate in botti o barili di legno). Poi si è capito che l’attività di acciugaio poteva diventare esclusiva, una vera e propria specializzazione. Alcuni continuarono a vendere con i loro carretti, altri diventarono grossisti, capaci di acquistare l’intero carico di una nave prima che attraccasse al porto di Genova, o di aprire aziende di lavorazione in Spagna, gente che dialogava e trattava alla pari con i maggiori distributori dell’epoca».
Bisogna immaginare questi giovani e giovanissimi contadini di montagna che nei mesi invernali per sopravvivere si inventavano attività del tutto nuove e fuori dagli schemi: oggi le chiameremmo startup.
Articolo di Saverio Paffumi sulla Valle Maira e la tradizione degli anciuè,
pubblicato sulla testata Linea Diretta, di C+C Cash & Carry